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Stefano Mirti

Alla velocità della luce.

Il grande impatto del lockdown sulla formazione: perdere dei pezzi per aggiungerne altri.

— 17 Mar, 2020 —
Interviste
Stefano Mirti
Stefano Mirti

Progettista, insegnante, partner di IdLab, Stefano Mirti è da anni impegnato sulle nuove frontiere dell’insegnamento: Design 101, Relational Design, e molti altri progetti. Per due anni è stato responsabile dei social media per Expo Milano 2015, dal settembre 2017 è direttore della Scuola Superiore di Arte Applicata del Castello Sforzesco a Milano e dal luglio 2019 è presidente della Fondazione Milano. Su instagram è @stefi_idlab mentre la sua pagina di Facebook è il grande archivio delle mille suggestioni, riferimenti, idee. Le "Letterine" sono la sua newsletter e il curriculum completo lo si trova su Linkedin. / in conversazione con Sara Fortunati, direttore del Circolo del Design, ed Elisabetta Donati de Conti, autrice e curatrice.


Elisabetta: Dal tuo punto di vista qual è l’impatto immediato delle disposizioni di lockdown in Italia?

Stefano: Dal punto di vista lavorativo l’impatto è decisamente significativo. Con lo studio (IdLab) stiamo ragionando su cosa capiterà quando necessariamente si fermeranno i lavori che stiamo portando avanti ora e su quali saranno i cambiamenti di rotta. Al contempo iniziamo a intuire che ci saranno altre necessità e desideri, poiché se cambia il mondo, cambieranno i lavori a cui siamo chiamati.



Sara: Di tipologia completamente diversa?

Stefano: Sì, senz'altro. Il mondo sta cambiando alla velocità della luce per cui oggetti e servizi che fino a un secondo fa servivano, forse ora servono di meno e nel frattempo c’è l'esigenza e l'utilità di averne altri. Questo fenomeno è interessante e lo si può riscontrare per esempio in ambito scolastico; io dirigo Super (la Scuola Superiore di Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano) il cui meccanismo è semplice: la scuola vive di chi paga per seguire i corsi, per cui se non ci sono più i corsi, non abbiamo più entrate. Ne consegue che siamo straordinariamente motivati ad immaginare nuove modalità di studio, sennò la scuola andrà a chiudere. Milioni di bambini e ragazzi italiani in questo momento sono a casa, dunque stiamo convertendo la scuola in una televisione social che vive su Facebook e Whatsapp, con particolare attenzione a queste fasce. La forma che assume la didattica è quindi quella di un palinsesto giornaliero di programmi e lezioni gratuiti, a disposizione di tutti.

Nel nostro caso, il lockdown è diventato un'occasione per immaginare una trasformazione di paradigma e gettarne le basi, coinvolgendo i nostri docenti e studenti, ripensando a che cosa sono i corsi, come si fruiscono.

Elisabetta: Si sta discutendo del fatto che la digitalizzazione improvvisa della scuola stia creando dei problemi di disuguaglianza sociale; qual è la tua visione a lungo termine sotto il profilo dell'innovazione nella formazione? Si raggiungerà una sorta di stato di diritto alla tecnologia oppure sarà un'ulteriore fonte di barriere e discriminazioni?

Stefano: La società è articolata in un sistema di classi sociali che hanno disponibilità economiche diverse. Ci sono famiglie che hanno accesso a risorse, servizi e beni di qualità mentre altre non hanno queste possibilità. Detto questo, impedire l’entrata delle nuove tecnologie non andrebbe a ridurre questo gap economico-sociale.

Penso che grazie a queste nuove strumentazioni tecnologiche sia più facile accedere e condividere molti servizi e saperi: se un corso tradizionale con docenti, aule, libri e materiali costa cento, lo stesso corso on-line costa dieci e questo è uno straordinario processo di democratizzazione. Avvalendosi dello strumento digitale, la formazione diventa meno costosa e questo è - ovviamente - un bene.



Sara: Secondo te questo grande esercizio collettivo con cui tutte le scuole si sono trovate a misurarsi all’improvviso, chi in maniera più preparata chi in maniera meno preparata, lascerà un segno anche in futuro? Le scuole assorbiranno questa nuova modalità che passa per la tecnologia e per il web?

Stefano: Sì e no. Sì perché questo è uno straordinario sblocco: l’insegnante, lo studente, la famiglia media non avevano mai fatto questo esperimento e ora l'hanno fatto, per cui sicuramente non si torna indietro su questo punto. Allo stesso tempo sono anche un po’ pessimista perché penso che il tema non sia trasferire la modalità precedente, per esempio la maestra che fa lezione, in una forma virtuale, mettendola di fronte a una webcam. Questo va bene durante l'emergenza, ma a regime “normale” quello all'on-line è un approccio completamente diverso e il processo è da innescare partendo da delle basi che non hanno a che vedere con i modelli tradizionali. Il superamento di questa modalità credo sarà il passaggio che richiederà più tempo.

Il tavolo della cucina si trasforma in scrivania per lavorare a casa di Stefano Mirti.
Il tavolo della cucina si trasforma in scrivania per lavorare a casa di Stefano Mirti.
Dalla finestra di Stefano Mirti.
Dalla finestra di Stefano Mirti.

Sara: Esiste dal punto di vista della formazione chi sta intercettando o sperimentando dei metodi veramente nuovi che non siano un tentativo di riproduzione tout court di quello che accadeva prima?

Stefano: Sì ce ne sono moltissimi e in questo momento ne abbiamo mappati davvero tanti per cercare la soluzione giusta per la scuola, per cui il nostro esercizio è molto intenso e sistemico. Un buon esempio è quello del MoMA che pochi giorni fa ha lanciato un corso di fotografia on-line, per tutti. Interessante perché è il caso di un museo che ha capito di non dover fare lo streaming delle opere d'arte, ma di doversi concentrare su altri desideri e necessità della propria comunità. Un altro buon esempio è quello del Politecnico di Milano che in sole ventiquattr'ore è riuscito a mettere online circa ottocento corsi: una straordinaria prova di forza muscolare logistica. La modalità che per ora abbiamo trovato più calzante al nostro caso, quella su cui stiamo lavorando, è quella nella quale una parte del corso è gratuita ed accessibile per tutti, mentre una parte del corso è a pagamento. L’aspetto relazionale, ovvero il momento in cui si dialoga con il docente, si correggono i lavori e si ricevono i feedback, ha un valore maggiore e dunque è un modulo a pagamento.

Negli anni passati avevamo fatto diversi esperimenti e test. Se un mese fa mi fosse stato chiesto come funziona la Scuola di Arte Applicata del Castello Sforzesco, vi avrei detto che il 95% delle attività era di tipo tradizionale e il 5% era rappresentato da corsi sperimentali online. Ora è come se stessimo facendo una trasformazione fuori dall’ordinario per cui presto avremo moltissimi corsi online con vari livelli di fruizione e una serie di workshop intensivi tradizionali a fine corso. Il cambio di paradigma è così doppio, poiché con questo modello non è più necessario essere a Milano per frequentare la scuola; se ci si trova a Torino, Napoli, Catania o New York, e se si parla italiano, si può fare il corso e poi partecipare di persona al workshop finale condensato in quattro giorni. Per il giornali è quello che si chiama “digital first”: il "New York Times" dà la priorità alla sua versione mobile, poi al sito web e infine alle edizioni di carta. La maggior parte delle pubblicazioni italiane invece esce prima in copia cartacea, poi i contenuti finiscono sul web, e infine sui social. Peccato che il mondo funzioni ormai alla rovescia.



Sara: Tu parti avvantaggiato perché sono anni che ragioni e sperimenti in questa direzione sul tema della formazione, a partire dal Master in Relational Design all'Accademia Abadir di Catania. Ma cosa si perde in questa trasformazione?

Stefano: Indubbiamente si perdono diversi elementi non secondari, come la compresenza fisica e le sfumature relazionali, ma dobbiamo capire che è semplicemente una modalità di apprendimento diversa. É come scegliere di comprare il libro di un professore anziché seguire il suo corso universitario ed è chiaro che il corso è più interessante, ma se non si può fisicamente accedere al corso, con il libro già si raggiunge una buona qualità dell'informazione. Non credo che l'online sia sostitutivo, ma complementare. Così come un festival tradizionale non potrebbe essere sostituito da un festival in streaming, che potrebbe però aggiungere degli elementi che prima non c'erano.

Elisabetta: Pensi che l’utilizzo di queste tecnologie e delle infrastrutture che le sostengono, possa avere a lungo termine un impatto sulla morfologia delle nostre città, dei nostri spazi pubblici o privati, e dei modi in cui viviamo la quotidianità rispetto ai luoghi?

Stefano: Secondo me i nostri spazi rimarranno inalterati: proprio perché ci sono il wifi e il computer allora non c’è motivo di abitare nella casa del futuro, la mia casa del passato è perfetta con gli oggetti del passato. É da venti o trent'anni che si dibatte sulla questione – le nuove tecnologie, le smart city, i paperless office – ma poi di fatto rimane tutto abbastanza uguale.



Elisabetta: Quando è stato inventato il computer è stato descritto come un’invenzione straordinaria per l’umanità che da lì in poi sarebbe potuta rimanere a vivere nella campagne, non avendo più bisogno di trasferirsi nelle città per lavorare; questo però non è successo, anzi il trend dice completamente il contrario. L'online risolve quindi solo alcune forme di connessioni globali ma non quelle locali?

Stefano: Proprio perché si può lavorare in remoto si sviluppa un certo tipo di economia per la quale è più importante stare in città. Il fatto che non si debba andare fisicamente in ufficio non vuole dire che in automatico andiamo ad abitare in montagna, mentre sicuramente il fatto che si possa lavorare in remoto rende meno necessario l’edificio scuola o l’edificio ufficio. D'altronde anche il negozio di vicinato, che a molti continua a piacere, non ha vita facile da quando sono comparsi Ebay e Amazon, ma era già in difficoltà a causa dei grandi centri commerciali. A me risulta difficile immaginare che solo perché abbiamo a disposizione una moltitudine di servizi digitali allora le nostre case o le nostre città subiranno dei cambiamenti significativi, ma questo lo vedremo solo nei prossimi mesi.