Annalisa Rosso è una scrittrice di design e curatrice, è stata editor in chief di "Icon Design", periodico mensile di Mondadori, ed è co-fondatrice dello studio di consulenza Mr.Lawrence. Responsabile di "Domusweb" dal 2017 al 2018 ha scritto per molte testate internazionali, è stata guest curator di due mostre nel distretto 5VIE alla Milano Design Week 2018 e 2019 e curatrice della settima edizione di Operæ, independent design fair, a Torino nel 2016. / in conversazione con Sara Fortunati, direttore del Circolo del Design, ed Elisabetta Donati de Conti, autrice e curatrice.
Sara: Come si lavora in questi giorni in una redazione?
Annalisa: Con la redazione di Icon Design siamo fortunati perché eravamo già abituati a lavorare in modo flessibile, il nostro magazine è composto da tanti collaboratori – interni e esterni - in contatto costante da ogni parte del mondo. È nel nostro DNA saper interagire con realtà diverse e, se serve, mettere in stand by alcuni progetti per attivarne altri. Questo vale non solo per la mia attività nell'editoria ma anche per il mio studio Mr. Lawrence. Quando si mettono in pausa alcune fasi del lavoro si può notare meglio come altre, normalmente più sommerse, riescano a emergere e questo è il caso del digitale.
Elisabetta: Non solo le riviste e i blog hanno iniziato a produrre molti più contenuti digitali, ma anche gli uffici stampa, i musei, i brand, etc. Pensi che questa pluralità sia dispersiva oppure è una coralità che sta aiutando il settore?
Annalisa: In questo momento, anche se abbiamo tutti il desiderio di mantenere costante il contatto che c'era prima, siamo costretti a trasformarlo in uno scambio telefonico e soprattutto digitale. Quello di cui fino a un paio di settimane fa parlavamo seduti al tavolino di un bar davanti a un caffè, adesso prende forma nei pezzi dei blog, come nel caso di Laura Traldi che sul suo designatlarge ha raccolto a caldo le opinioni rispetto all'iniziativa Virtual Milan (ora Virtual Design Festival) di Dezeen, una critica corale che ha raccolto dei risultati eccezionali proprio per aver espresso un'opinione compatta e corretta di fronte ad un episodio spiacevole. Ed è questo passaggio dall'offline all'online che segna una grande svolta: d'ora in poi il digitale sarà nella vita anche di chi prima non voleva usare questi strumenti o faceva resistenza.
Sara: Ad esempio la spesa online, che per molti era un'azione banale, ora la stanno facendo persone di qualsiasi età.
Annalisa: Prova ad applicare questo esempio circoscritto al mondo del collezionismo. Le più grandi gallerie e fiere, come Art Basel Hong Kong, stanno sperimentando soluzioni online e in parte questo è dovuto al cambio generazionale, perché se un tempo ci si rivolgeva a un target maturo ora anche giovani e giovanissimi sono diventati un pubblico interessante per un certo mercato dell'arte e del design contemporaneo. Il lockdown non è ancora finito, io temo che ne avremo ancora almeno per un mese o due, e quindi quando ne usciremo avremo uno strumento in più, fortissimo, che forse sapremo usare meglio. Andiamo avanti a tentoni ma questa situazione ci obbliga a fare una full immersion digitale, che in sé è un'esperienza molto formativa ed interessante.
Sara: Spesso i contenuti online sono una semplice traslazione dall'analogico al digitale, ma questa potrebbe essere l'occasione per vedere dei cambi di rotta veramente interessanti: hai notato delle novità da segnalarci?
Annalisa: Non ho ancora registrato un vero cambiamento ma sono convinta che ci si debba sforzare di trovare dei nuovi modi di parlare di design usando gli strumenti che già abbiamo. Alcuni bei siti e alcune belle app molto funzionali esistevano già prima e io probabilmente non vi avevo prestato tanta attenzione, in alcuni casi preferendo il cartaceo. In questo momento sto riprendendo in mano diversi strumenti digitali e me li sto godendo molto. Forse dopo questa fase cambieranno anche le abitudini più sedimentate.
Sara: Dipende anche da quanto durerà questa fase, che in fondo è iniziata “solo” da un paio di settimane.
Annalisa: Il cambiamento più profondo che sto sperimentando in prima persona consiste nel fatto che prima ero abituata ad avere uno scambio con chi mi è vicino, soprattutto per contiguità lavorativa. Invece ora, paradossalmente, sto sentendo tutti i giorni gli amici a Londra o a New York: è cambiata la mia dimensione di vicinanza.
Sara: Siamo tutti equidistanti in questo momento.
Annalisa: Questa situazione ha livellato gli scambi, rendendoli orizzontali.
Elisabetta: Prima hai accennato ad Art Basel Hong Kong, che sta provando a replicare il format analogico mettendo online delle Viewing Rooms e facendo così capire che resta comunque più confortevole avere uno stand in cui entrare. Al contrario che nella comunicazione, dal punto di vista degli eventi il digitale è molto meno esplorato; c'è qualche scenario che ti immagini o che ti piacerebbe vedere prossimamente in questo senso?
Annalisa: Il tema della realtà virtuale a me interessa molto, è da un po' che lo seguo. Ad esempio a dicembre a Miami ho avuto l'opportunità di visitare un nuovo progetto di Diesel: di fronte a un terreno in attesa di essere edificato, all'interno del classico container-ufficio dei cantieri, con l'utilizzo del visore si poteva entrare in un palazzo che non esiste, salire i vari piani, affacciarsi alle terrazze e ammirare la strada sottostante, con un grado di definizione che lasciava senza parole. Le piante con le foglie che si muovevano, le macchine che correvano o parcheggiavano, la tenda sulla finestra che si increspava in un momento di brezza. L'imitazione della realtà ha raggiunto un livello davvero stupefacente, ma ora la sfida è trovare altri modi per farlo, pensare a qualcosa che vada oltre la realtà ed esplorare mostre o mercati in modalità che ancora non conosciamo.
Elisabetta: Alcuni contenuti di un museo si possono fruire digitalmente in molti modi, mentre altri sono più difficili da immaginare digitali. Un esperimento da segnalare è forse quello che permette di visitare una chiesa gotica: il documentario 3D Rebuilding Notre Dame realizzato per l'Oculus Quest. Per il design contemporaneo sarebbe naturale avvicinarsi a esperienze di questo tipo o si perde troppo in termini di fisicità?
Annalisa: La grande differenza del design rispetto all'arte consiste nel fatto che gli oggetti si possono e si devono toccare. A me piacciono le mostre esperienziali che coinvolgono il visitatore, come quella curata pochi mesi fa da Maria Cristina Didero a Tel Aviv – The Conversation Show al Design Museum di Holon - che ha messo insieme cinque grandi designer. Ognuno di loro ha progettato un'installazione interattiva in una maniera che non avevo mai visto a quel livello di intensità, ma era la presenza fisica a fare davvero la differenza, quindi ora è interessante interrogarsi su come si può trasportare queste sensazioni nel mondo digitale. Basta semplicemente indossare dei guanti per la realtà aumentata per poter toccare virtualmente le cose? Secondo me no. È un tema di coinvolgimento più profondo e viscerale in perfetto stile Black Mirror. Si tratta di sperimentazioni un po' liminali ed avanguardistiche poco note al grande pubblico che ora, con più tempo e più interesse a farlo, potremmo iniziare ad esplorare.
Sara: Le aziende secondo te sono pronte?
Annalisa: Sono pronte nel senso che ne hanno voglia, ne hanno bisogno e lo sanno. Non sono sicura invece siano pronte a capire quali possono essere i risvolti e i benefici pratici di operare in questi campi. Ma d'altronde in questi giorni si stanno interrogando anche su quali nuovi modi esistano per raccontare i loro prodotti, dal momento che - ad esempio - non abbiamo fotografi o sale di posa a disposizione. Per come si è strutturato il sistema, da svariate decadi a questa parte, si produce un oggetto, lo si fotografa, lo si inserisce in un catalogo e lo si porta alle fiere.
Invece un fenomeno che trovo interessante è l'esplosione di 3d artist e di graphic designer evolutissimi che oggi sono in grado di creare dei mondi più veri del vero, a volte addirittura più intriganti. Questa nuova modalità creativa non mi pare un'ennesima maniera estetizzante di costruire una bella immagine, ma è un modo di raccontare qualcosa di più. Per cui forse questa è un'occasione da un lato per capire nuove modalità di operare nel settore della comunicazione e dall'altro per esplorare strumenti che esistevano già ma che fino a poco fa, un po' per questioni di budget un po' per abitudine, erano solo dei metodi alternativi per replicare pratiche consolidate da decenni. Perfino i social network in questo senso non si sono mai spinti più di tanto oltre ciò che già era familiare.
Elisabetta: E non credi che si potrebbero creare dei ribaltamenti nelle produzioni? Penso ad esempio alla sedia di petali rosa, renderizzata da Andrés Reisinger, che dopo un anno di popolarità online è stata prodotta da una galleria spagnola.
Annalisa: Anche alle fiere la maggior parte dei prodotti esposti è solo prototipata e quindi spesso gli oggetti arrivano sul mercato dopo diverse fasi di ritocco proprio in seguito ai feedback ricevuti. Lavorare in questo modo è però un serpente che si morde la coda, perché dal momento in cui si propone un prodotto che viene visto, recensito e fotografato, il mercato poi non ha né tempo né voglia di aspettare prima di poter accedere a quell'oggetto. Questo per dire che i test ci sono sempre stati, ma vince la scommessa chi propone qualcosa di nuovo nei tempi e nei modi giusti. Questo concetto vale sia per la macchina produttiva che per quella comunicativa: il momento in cui viene un'idea è lo stesso momento in cui bisogna metterla in pratica? Nella maggior parte dei casi penso che muoversi nei tempi giusti sia molto importante. Se qualcuno avesse qualche buona intuizione nell'ambito del digitale dovrebbe metterla in pratica al più presto, perché le aziende ne hanno bisogno ora.
Elisabetta: In Asia per esempio ci sono i live streaming agent, figure che da casa recensiscono online in live streaming prodotti che sono acquistabili su internet, con centinaia di milioni di follower. Secondo te in occidente siamo pronti a fare spazio per nuovi lavori e nuove figure professionali?
Annalisa: Anche questo è un tema di discussione molto frequente con le aziende: la figura dell'influencer si è affermata in settori come la moda e il beauty, mentre nel design non ha ancora fatto presa in una misura paragonabile. Anche le ipotesi di rendere virtuali le fiere di design hanno riscosso molti commenti negativi perché sono appuntamenti fatti di incontri personali, conversazioni con i produttori e racconti dei designer. Nel nostro settore non credo quindi che passaggi di questo tipo saranno così immediati, soprattutto in Europa dove siamo abituati a un certo tipo di linguaggio e a certe modalità che non possono venire scalzate per passare al digitale totale - che però è sicuramente qualcosa che non può essere ignorato.
Forse il live agent può essere l'equivalente di un blogger, si può decidere di seguirlo così come si sceglie un autore o una testata di riferimento per leggere la recensione di una sedia prima di comprarla. Si riconosce a questi soggetti l'autorevolezza e la competenza per esprimere giudizi. I vari settori – moda, design, lifestyle - sono molto diversi anche nell'ambito creativo e a guardar bene la nostra è veramente una nicchia molto piccola e molto difficile. Senza dimenticare che in genere le persone appassionate di design sono molto informate. Mi piace che questo mondo sia molto esigente e che il pubblico sia attento e preparato; non si possono scrivere banalità e le novità richiedono analisi attente, è sempre una sfida stimolante. Forse è anche per questo che non abbiamo ancora trovato il modo di parificare la comunicazione cartacea e quella digitale. Sul cartaceo siamo avvantaggiati da tanti anni di sperimentazione, basta pensare a Domus, con cui, ormai quasi un secolo fa, abbiamo iniziato a sviluppare un linguaggio specifico, una raffinatezza nella fotografia e un atteggiamento critico. Anche le persone che sono al di là dello schermo sono esigenti, è giusto che lo siano ed è il bello del gioco.
Elisabetta: In questi giorni sono più esigenti?
Annalisa: In questi giorni ho l'impressione che le persone siano più interessate alle pagine che ci tengono informati sui contagi. Ma mi sono anche accorta che tanti sono alla ricerca di una piattaforma dove potersi esprimere, l'ho notato anche in un ritorno all'uso di Facebook, che era stato lievemente abbandonato in favore di Instagram. Ognuno ha voglia di dire la sua e si è rianimata la community che commenta, che dibatte – il caso Dezeen è stato lampante anche in questo senso.
Sara: Una riorganizzazione del digitale significherebbe non solo attrezzarlo per restituirci quello che non abbiamo più sul piano analogico, ma per darci delle opportunità nuove.
Annalisa: Quindici anni fa erano molto in voga i forum, noiosissimi graficamente ma utili per scambiarsi opinioni e informazioni. Oggi sopravvivono per alcune nicchie ultraspecializzate in cui ci si confronta dettagliatamente – io li seguo per imparare a gestire il mio cacatua Kiwi, giovane trovatello. Una formula del genere, indipendente e magari un po' più evoluta, potrebbe essere una bellissima iniziativa, perché per confrontarmi con colleghi e amici preferirei non dover scrivere su pagine gestite da un algoritmo come quelle di Facebook. Forse preferirei una piattaforma che si proponga come festival dei festival del design, chissà.
Sara: Nel design c'è anche una varietà disciplinare più ampia e molte competenze digitali e di comunicazione appartengono già al design.
Annalisa: In questo momento settori importanti come quello della moda si sono attivati radunando grandi cifre per contribuire nell'immediato alle spese dell'emergenza e questo è bellissimo. Sappiamo bene che il mondo del design è diverso, muove altri numeri e un business differente. A volte penso che il nostro mestiere sia proprio quello di muoverci su livelli più utopici. Potremmo non avere milioni da devolvere nel giro di poche ore ma, quando siamo bravi, portiamo avanti un cambiamento profondo. È questo che rende il design così interessante per me.