WELCOME TO THE POST-ANALOG CONDITION*

a cura di Rebediani Scaccabarozzi Paesaggisti

Il Pendolo di Foucault, 1831

— 22 Jun, 2020 —
Progetti

- i protagonisti del mondo del design rintracciano nel passato un progetto attraverso cui guardare il presente -

Lorenzo Rebediani e Vera Scaccabarozzi, architetti paesaggisti, fondano il loro studio a Milano nel 2018. Progettano leggendo l'intreccio degli aspetti ecologici, estetici e culturali del paesaggio. Usano materiale vivente ascoltando il suo legame con l'ambiente, i suoi bisogni e desideri.

«Sentiamo spesso dire in queste settimane di lockdown che “il mondo si è fermato”. Abbiamo pensato di partecipare alla formazione di questo archivio provando a citare un “progetto” - il pendolo di Foucault – che ci ricorda due cose semplici e che ci stanno molto a cuore: la terra, nonostante tutto, continua a girare ed il tempo a stratificarsi.


L'invito distribuito da Leon Foucault a scienziati e curiosi la vigilia dell'esperimento del 2 Febbraio 1831 recitava: “la signoria vostra è invitata a veder girare la terra domani, dalle tre alle cinque nella Sala del Meridiano dell'Osservatorio di Parigi'. La promessa fu mantenuta, e sotto lo sguardo attento dell'élite intellettuale del paese, il pendolo di Foucault iniziò a ruotare sul suo piano di oscillazione provando in modo inconfutabile il moto rotatorio della terra. Per dare il via al pendolo, bruciarono un filo di lana al quale la palla era legata, un modo ingegnoso per evitare di alterare in partenza la direzione di oscillazione. L'esperimento venne ripetuto poco dopo nel Pantheon di Parigi, questa volta con un'altezza molto maggiore (67metri) ed una sfera di ottone con una punta che tracciava le sue traiettorie su un leggero strato di sabbia. La terra ruotava sotto il pendolo in grado di muoversi in tutte le direzioni, secondo un sistema di riferimento indipendente da quello della terra stessa. Nel suo moto disegnava sulla sabbia un fiore dai mille petali, ricordando ad ogni diametro sfalsato di circa 3 millimetri dalla traccia precedente, che il nostro pianeta, e noi sopra di lui, era intento dalle sue quotidiane piroette. Fu un cambiamento epocale.


Il pendolo si è rivelato dunque strumento per misurare fenomeni periodici, tanto valido per cogliere lo scorrere della terra, quanto prezioso per scandire il ritmo del tempo. Dalla metà del Seicento il pendolo è infatti servito per battere ore, minuti, secondi attraverso la costruzione dell'orologio a pendolo. Il primo esemplare fu realizzato da uno scienziato olandese, seguendo il principio dell'isocronismo formulato all'inizio del XVII secolo da Galileo Galilei. Egli intuì la caratteristica essenziale dei moti pendolari nel 1583, osservando l'oscillazione di un lampadario nel duomo di Pisa e scoprì che la durata di quelle lente oscillazioni, misurata con il battito del suo cuore, rimaneva immutata nonostante la loro ampiezza diminuisse sempre di più. Anche Galileo fece molti esperimenti per provare il movimento terrestre e arrivò ad un passo dall'osservare la rotazione dell'oscillazione del pendolo. Sfiorò l'intuizione poco prima della sua morte.


Questi moti ritmici, ciclici, rotondi scanditi (originariamente) dall'oscillazione di un pendolo, sono stati una morbida certezza durante mesi di improvvisa sospensione.

Il mondo non si è fermato.

Il tempo non si è fermato.


Il pendolo di Foucault ci aiuta ancora a dire di questi strati temporali compressi e rilasciati, attraverso le parole di Umberto Eco in un passo dell'omonimo romanzo, quando un paesaggio riesce ad accogliere il metamorfico moto perpetuo di tempo e spazio.»


Dalla finestra dello studio di zio Carlo guardo la collina, e quel poco di luna che sta sorgendo. L’ampia gobba del Bricco, i dorsali più modulati delle colline sullo sfondo, raccontano la storia di lunghi e sonnacchiosi sommovimenti della madre terra, che stiracchiandosi e sbadigliando faceva e disfaceva ceruli piani nel cupo balenio di cento vulcani. Nessuna direzione profonda delle correnti sotterranee. La terra si sfaldava nel suo dormiveglia e scambiava una superficie con un’altra. Dove prima pascolavano ammoniti, diamanti. Dove prima germogliavano diamanti, vigne. La logica della morena, della slavina, della frana. Metti un sassolino fuori posto, per caso, si agita, scende verso il basso, lascia spazio in difesa (eh, l’horror vacui!), un altro gli cade addosso, ed ecco l’alto. Superfici. Superfici di superfici su superfici. La saggezza della Terra. (...) L’abisso il risucchio di una pianura. Perché adorare un risucchio?” (...) “Lungo le falde del Bricco si stendono filari e filari di viti. Lo so, ne ho visti di simili ai miei tempi. Nessuna Dottrina dei Numeri ha mai potuto dire se sorgono in salita o in discesa. In mezzo ai filari, ma ci devi camminare scalzo con il tallone un po’ calloso, sin da piccolo, ci sono degli alberi di pesche. Sono pesche gialle che crescono solo fra i filari, si spaccano con la pressione del pollice, e l’osso ne esce quasi da solo, pulito come dopo un trattamento chimico, salvo qualche vermiciattolo grasso e bianco di polpa che vi rimane attaccato per un atomo. Puoi mangiarle senza quasi sentire il velluto della pelle, che ti fa correre i brividi della lingua fino all’inguine. Un tempo lì pascolavano i dinosauri. Poi un’altra superficie ha coperto la loro. Eppure (...) quando davo un morso alle pesche capivo il Regno ed ero tutt’uno con lui. Dopo, solo arguzia. Inventa, inventa il Piano, Casaubon. E’ quello che hanno fatto tutti, per spiegare i dinosauri e le pesche.

Umberto Eco, II Pendolo di Foucault, Bompiani, 1988


- Lorenzo Rebediani e Vera Scaccabarozzi