WELCOME TO THE POST-ANALOG CONDITION*

Formafantasma

Pratica etica.

Radicarsi nel presente per osservare i fenomeni – e amarli.

— 31 Mar, 2020 —
Interviste
Andrea Trimarchi e Simone Farresin, credit Renee de Grot
Andrea Trimarchi e Simone Farresin, credit Renee de Grot

Studio Formafantasma sono Andrea Trimarchi e Simone Farresin, designer italiani che vivono e lavorano ad Amsterdam. Il loro metodo di progettazione sperimenta linguaggi e approcci in continua mutazione, esplorando tematiche come la relazione tra tradizioni e culture locali, il significato degli oggetti come canali culturali e sviluppando critiche contemporanee a sostenibilità e produzione. Hanno collaborato con molte aziende e gallerie internazionali, oltre che con prestigiose istituzioni culturali, università e accademie; sono coordinatori didattici del MADE Program di Siracusa e del master in Geo-Design in partenza a settembre alla Design Academy di Eindhoven. Il loro ultimo lavoro, inaugurato il 4 marzo 2020, è una mostra dal titolo Cambio alla Serpentine Gallery di Londra, un’indagine complessa su meccanismi, storia e impatti della filiera del legno. [Attualmente la mostra è chiusa, ma è fruibile online su Cambio e si possono seguire interviste legate ad essa sul canale instagram dello studio all'interno del ciclo Antenna Fantasma.] / in conversazione con Sara Fortunati, direttore del Circolo del Design, ed Elisabetta Donati de Conti, autrice e curatrice.

Sara: Che cosa vi preoccupa di più di questo momento?

Formafantasma: Siamo preoccupati per quello che succederà, o potrà succedere, all'Unione Europea e anche per quello che sta accadendo in Italia, dal momento che la pandemia sta evidenziando alcuni gravi problemi irrisolti da più di un secolo, come quello del divario tra nord e sud o della presenza delle mafie – che dalle situazioni di difficoltà traggono purtroppo vantaggio. Tuttavia notiamo quotidianamente anche risposte di coesione sociale estremamente incoraggianti, il che vuol dire che se lo stato dà la direzione giusta le persone rispondono.



Sara: Questa coesione sensibilmente avvertita da tutti sembra essere un'occasione irripetibile della storia: buone misure politiche potrebbero trovare terreno fertile per attecchire a livello collettivo, dal momento che ci siamo resi conto che le iniziative del singolo raramente sono in grado di produrre dei cambiamenti rilevanti.

Formafantasma: Ci auguriamo che possa esserla e che non venga strumentalizzata a livello politico, dal momento che ci sono già dei tentativi in questo senso, e che questa pandemia sia un caso evidente di come solo collettivamente si possono affrontare i problemi. Speriamo che questo spirito venga curato e nutrito da chi può dare l'esempio.


Elisabetta: Cambio apre ad un'analisi che in parte riguarda anche ciò che sta accadendo ora, quella ovvero del più ampio rapporto tra uomo e altre specie viventi. Che riflessioni avete maturato passando da una realtà nella quale eravate totalmente immersi, a quest'altra nella quale vi ritrovate oggi?

Formafantasma: È stato uno schianto piacevole e allo stesso tempo tremendo; quando si lavora molto e la mostra rimane aperta un paio di settimane per poi improvvisamente chiudere, c'è un senso di straniamento che va oltre l'esperienza della pandemia. Siamo molto dispiaciuti, ovviamente, ma si tratta di un avvenimento piccolissimo nell'ordine di scala dei profondi cambiamenti a cui stiamo assistendo. Per fortuna il nostro lavoro su Cambio - che non è una mostra di prodotto, ma che ha a che fare con le idee, che quindi vanno condivise – era già pronto anche in forma di catalogo e in una versione online della mostra. D'altra parte stiamo affrontando delle riflessioni sul futuro della nostra pratica e per noi è chiaro come molte cose abbiano perso di significato in maniera improvvisa. Per esempio stiamo cancellando tutte le lecture nei prossimi mesi che richiederebbero dei viaggi impegnativi perché non sarà possibile tornare alle nostre vite come se nulla fosse. Produrremo contenuti appositamente per questi incontri e cercheremo di immaginarci altri modi per convivere con queste nuove esigenze - senza eliminare del tutto la presenza fisica perché non si può fare e non va fatto.


Elisabetta: Come pensate che verrà sedimentato questo momento?

Formafantasma: Sicuramente, come per tutti gli eventi storici, vivremo una fase di metabolizzazione e le storie che accompagnano questo periodo verranno rilette e riscritte. Attualmente tra le micro-comunità c'è il tentativo di dare un senso positivo all'esperienza che stiamo vivendo, nell'ottica di trasformare questa tragedia in una specie di allegoria morale. Forse questo non avverrà perché le pratiche economiche all'interno di cui viviamo sono molto più pervasive di un virus e questa è la cosa che ora ci spaventa di più; sappiamo infatti benissimo che il tentativo sarà quello di far tornare l'economia e la sua struttura come prima utilizzando le stesse ricette. Ci auguriamo ovviamente che ci sarà una ripresa economica, ma allo stesso tempo speriamo che possa avvenire all'insegna della comprensione dei motivi che ci hanno portato a questo punto, con un'attenzione particolare ai temi ecologici.

Sara: Il lavoro che avete fatto con Cambio, e di cui ci sono ampie tracce anche in altri aspetti del vostro operato, interpreta il ruolo del design in modo olistico, un design che abbraccia tante discipline e materie, anche molto difficili e complesse, che costruiscono un'ampia visione del progetto. Per esempio Ellen MacArthur, a capo dell'omonima fondazione che spende molte risorse per instaurare un dialogo proficuo per la promozione della visione di un'economia circolare, sostiene che il design ne è il cuore. Che ruolo pensate che in questo momento così complesso possano avere il design e i designer?

Formafantasma: Ogni designer dovrebbe trovare la propria strada. Non pensiamo che il modo che abbiamo noi di intendere il design sia l'unico; è semplicemente il modo che interessa a noi ed è quello che sappiamo fare - o più precisamente quello che stiamo imparando a fare. Il modo migliore per rispondere è spiegare come siamo arrivati a operare in questa modalità, perché abbiamo maturato questo pensiero e in che direzione sta andando: riflettendo cioè sulle implicazioni etiche della disciplina del design e cercando veramente di capire qual è il ruolo della progettazione. Il design è inteso in questo senso non come la pratica di disegnare tecnicamente un oggetto, ma come disciplina in senso lato e come attitudine umana di dare forma al mondo. Abbiamo cominciato ad osservare criticamente questa attitudine notando anche le limitazioni del pensiero profondamente pragmatico e positivista del design, che vede in una forma di efficienza - per esempio nell'utilizzo di risorse e nel legame con la produzione industriale - l'apice della capacità del design di introdurre benessere. Tuttavia è inevitabile che questo tipo di pensiero sia collegato direttamente a quello che ha portato alla crisi climatica in cui viviamo e della quale probabilmente il Covid-19 è segnale.

Dopo la seconda guerra mondiale il design aveva partecipato alla ricostruzione dell'Europa e di altri paesi portando benessere alle persone, ma nel tempo questo atteggiamento è cambiato e il design è diventato un mezzo nelle mani della crescita economica, all'interno della quale funziona come uno strumento che prende risorse sotto forma di materie prime e le trasforma in prodotti desiderabili. Il nostro lavoro cerca di capire quali sono le implicazioni più nascoste del design, chiedendosi per esempio se è possibile che il design intervenga nel ripensare tutta una filiera produttiva e in che modo potrebbe farlo. Nel caso che abbiamo analizzato alla Serpentine Gallery e che riguarda la filiera del legname, significa anche cercare di capire qual è il tipo di industria che supportiamo nel momento in cui decidiamo di lavorare con il legno; non vuol dire però che non utilizzeremo più questo materiale e che lavoreremo solo ed esclusivamente in maniera sostenibile, perché in questo momento non è del tutto possibile, specialmente quando ci si interfaccia con altre realtà lavorative. In questa dicotomia, che crea una situazione complessa visto che da un lato ci si ritrova a sostenere un sistema economico che non si condivide mentre dall'altro ci si è cresciuti all'interno, sta la nostra difficoltà di designer. Tuttavia, invece di vedere l'aspetto negativo della posizione in cui ci troviamo, cerchiamo di accostare lavori commerciali ad altri come Cambio, mandando avanti il nostro studio tra queste due forme mentali antitetiche che nel tempo troveremo i modi di coniugare trasformando la pratica “industriale” in una pratica etica.



Sara: Realizzare una mostra che attraversa questi temi significa non solo fare un lavoro di ricerca ma anche darsi un obiettivo di sensibilizzazione delle coscienze a beneficio di una maggior consapevolezza collettiva. Voi oltre a questo siete molto attivi nel campo della formazione e a breve partirà il vostro master in Geo-Design alla Design Academy di Eindhoven, che si ascrive perfettamente all'interno di questo discorso.

Formafantasma: La nostra attenzione al tema della formazione fa parte del percorso con il quale, rendendoci conto dei limiti della disciplina e del lavoro quotidiano, cerchiamo di capire dove potrebbe andare il design. Geo-Design attingerà per i primi due trimestri dalla mostra a Londra come apparato teorico e come compendio di informazioni a disposizione degli studenti, che potranno appropriarsene, portarne avanti i ragionamenti, arricchire la ricerca, criticarla e metterla in discussione nel tentativo di costruire delle proposte trasformative. Con il master aspiriamo quindi a costruire una massa critica interna al dipartimento e a proporre degli interventi di design che non dovranno avere necessariamente l'ambizione di cambiare il mondo, ma che potranno svilupparsi su diverse scale, dal prodotto alla strategia fino a quella, perché no, della visione quasi filosofica. Quindi se noi individuiamo un iper-oggetto come può essere l'industria del legno, le azioni degli studenti intorno ad esso possono essere paragonate a degli interventi di agopuntura su un corpo malato che a scale diverse possono attuare un'operazione ristorativa – come proponeva Paola Antonelli in Broken Nature. Il nostro intento non è quindi quello di affermare che il design può fare qualsiasi cosa e anche in Cambio abbiamo voluto invitare altri professionisti all'interno della mostra, proprio per provare a comunicare che il design, inteso come modo di pensare e di lavorare, può servire anche ad altre discipline.

Dalla finestra di Studio Formafantasma
Dalla finestra di Studio Formafantasma

Elisabetta: Una delle cose che fa il design è quella di immaginarsi ciò che non esiste, generalmente però seguendo dei binari, dei vincoli o degli obiettivi molto specifici. In questo periodo, e forse già nella decade che ha preceduto questo momento, è affiorato un nuovo interrogativo: è possibile progettare nell'incertezza? È necessario essere più pronti a gettare continuamente delle nuove fondamenta del nostro pensiero?

Formafantasma: Chi spiega molto bene questo aspetto della vita contemporanea è Donna Haraway nel suo libro Staying with the Trouble: Making Kin in the Chululucene, perché in questo momento non possiamo né essere catastrofisti e pensare che ormai sia troppo tardi, né essere negazionisti. Quello che dovremmo fare è imparare ad amare i mostri che ci circondano e il fango in cui ci troviamo immersi, il che vuol dire reagire sul qui e ora. Bisogna tuttavia fare attenzione perché essere radicati nel presente non significa rinunciare ad una visione olistica, ma il contrario: più riusciremo ad osservare i fenomeni a livello macroscopico più potremo strutturare delle risposte ai problemi in modo duraturo. Per esempio nel caso della pandemia quello che abbiamo notato è che la stratificazione di problemi che genera, svela dove non abbiamo operato in modo sistematico e coerente, come nel primissimo esempio al circoscritto caso italiano. Se invece impariamo a leggere i fenomeni in modo più interconnesso, inevitabilmente riusciamo a proporre delle strategie o delle soluzioni che potrebbero, anche in momenti di difficoltà, aiutare a rispondere più coerentemente. Anche la crisi climatica è in quest'ottica una narrativa che va analizzata, scoperta e amata. Se è vero, come molti dicono, che le ideologie sono cadute, è anche vero che potremmo costruirne di nuove attorno alla crisi ecologica. Siamo profondamente convinti che il periodo tremendo in cui viviamo ci possa dare l'opportunità di costruire un pensiero veramente nuovo oltre la modernità, mantenendo il bagaglio di conoscenze e l'attitudine moderna, mentre superiamo questo inceppo che ci costringe in una perenne fase di post-modernità.



Elisabetta: Una delle cose che avete sottolineato è quanto purtroppo negli ultimi anni la scienza sia stata poco in grado di comunicarsi e quanta fatica abbia fatto la comunità scientifica per farci capire cosa stia succedendo a livello globale. Pensate che il vostro impegno seguirà sempre più questa direzione interdisciplinare?

Formafantasma: Anche in questo senso possiamo fare degli esempi rifacendoci alla nostra recente esperienza con Cambio. Nella fase di studio per la mostra abbiamo letto molte pubblicazioni di tipo scientifico e la cosa evidente è che il metodo scientifico offre delle grandi opportunità mentre opera dentro limiti molto rigidi che risiedono proprio nel funzionamento del metodo stesso. Uno scienziato non può includere le proprie opinioni nei testi che pubblica, deve essere imparziale e mostrare dati e informazioni, mentre quando intessiamo delle conversazioni con studiosi di altri settori, li mettiamo di fronte alla libertà di fare connessioni e confronti con altre discipline. Il grande limite del metodo scientifico è quindi proprio l'incomunicabilità dell'aspetto più umano dello scienziato, quello che lascerebbe trasparire opinioni, sentimenti, sfumature e il suo pensiero non scientifico. Abbiamo per esempio conversato con Philipp Pattberg, che all'università di Amsterdam si occupa di governance di elementi naturali nell'antropocene – foreste, laghi e fiumi transnazionali e lavorando con lui, gli abbiamo offerto l'opportunità di essere speculativo e abbiamo provato ad ipotizzare insieme un modo diverso di affrontare la governance delle foreste a livello globale, qualcosa che non si è mai riusciti a fare per le tensioni politiche tra nord e sud del mondo. Un esercizio molto interessante, che ha però messo in luce la difficoltà di una figura estremamente intelligente e professionale di lavorare in modo speculativo, facendoci capire quanta limitazione a tutti i livelli decisionali ci sia nel sentirsi liberi di essere immaginifici e di immaginare l'impossibile. Questo è un limite soprattutto nel momento in cui dobbiamo ricostruire il mondo, perché abbiamo bisogno di immaginazione e proprio per questo motivo è così importante intessere relazioni tra le discipline. Dobbiamo considerare che si tratta di un ragionamento profondamente naive, non abbiamo le risposte, ma abbiamo la sensazione di essere all'inizio di un percorso che va in qualche modo protetto, nutrito e che speriamo darà i suoi frutti il prima possibile.